LA COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE DI NAPOLI 
                             Sezione 32 
 
    Riunita con l'intervento dei signori: 
        Notari Alfredo - Presidente e Relatore; 
        Gallo Sergio - Giudice; 
        Ucci Pasquale - Giudice, 
    ha  emesso  la  seguente  ordinanza  sull'appello  n.  9568/2015,
depositato il 29 settembre 2015, avverso la  sentenza  n.  4605/2015,
Sezione  13,  emessa  dalla  Commissione  tributaria  provinciale  di
Caserta,  contro  MEF-SEGR.-COMM.  Trib.  provinciale   di   Caserta,
proposto dall'appellante: Orabona Raffaele, Via P. Riverso, 7 - 81031
Aversa (CE), difeso da: Iavazzo Loredana, Via Roma P.Co Verde - 81030
Teverola (CE). 
    Atti impugnati: invito al pagamento n. prot.  3291/14  Contributo
unificato 9568/15. 
Svolgimento del processo 
    Con l'impugnata  sentenza  la  C.T.P.  di  Caserta  rigettava  il
ricorso proposto Orabona Raffaele avverso l'invito di pagamento della
residua somma di € 360,00 ad  integrazione  di  contributo  unificato
come da epigrafe, invito speditogli dal Ministero  delle  finanze  in
relazione a ricorso tributario presentato presso la stessa C.T.P.  di
Caserta. 
    Il ricorrente  aveva  dedotto  la  correttezza  del  calcolo  del
contributo versato in ragione di €  30,00  in  ordine  al  valore  di
quella lite, consistente  in  un'opposizione  ad  estratto  di  ruolo
cumulativamente riferito a dieci cartelle, per cui, a suo  dire,  non
si dovevano tenere in conto partitamente  i  valori  di  ciascuna  di
quelle, ma la somma complessiva dei medesimi. 
    Il  Ministero   delle   finanze   resistente,   instauratosi   il
contraddittorio, si era costituito eccependo  l'inammissibilita'  del
ricorso in quanto presentato avverso un atto non impositivo,  nonche'
contestando nel merito l'avverso dedotto. 
    La C.T.P. di Caserta, previamente delibata  l'ammissibilita'  del
ricorso in relazione alla ritenuta  non  tassativita'  dell'art.  19,
decreto legislativo n. 546/1992, rilevava che il valore  della  lite,
da computarsi ai sensi degli articoli 14, comma 3,  del  decreto  del
Presidente della Repubblica  n.  115/2002  e  12,  comma  5,  decreto
legislativo n. 546/2002, cosi' come  modificato  dall'art.  1,  comma
558, della legge n. 147/2013, eccedeva lo scaglione di € 2.583,00 cui
si era riferito il contribuente ai fini di quel versamento, il  quale
ultimo andava quindi integrato  nei  sensi  richiesti  dal  Ministero
resistente. 
    Avverso tale sentenza proponeva appello l'Orabona,  ribadendo  le
doglianze   gia'    esposte    in    primo    grado    e    deducendo
l'incostituzionalita' degli articoli 14, comma 3-bis, del decreto del
Presidente della Repubblica  n.  115/2002  e  12,  comma  5,  decreto
legislativo n. 546/2002, cosi' come  modificato  dall'art.  1,  comma
558, della legge n. 147/2013 rispetto agli articoli 3, 53, 24, 113  e
117, comma 1, Cost., nella parte in cui  si  prevede  che  il  valore
della lite per il calcolo del contributo unificato venga  determinato
per  ciascun  atto  impugnato  anche  in  appello,  con   conseguente
disparita' di trattamento per l'ipotesi di  ricorsi  cumulativi  come
nella specie. 
    Egli, tuttavia non chiedeva pronuncia di  manifesta  infondatezza
della questione di costituzionalita' con  i  provvedimenti  accessori
del caso, ma invocava solo  l'annullamento  dell'atto  contestato  in
riforma dell'impugnata sentenza. 
    Il Ministero appellato, radicatasi la lite nel presente grado, si
costituiva tardivamente resistendo al gravame. 
    Indi questo  collegio  ha  adottato  la  deliberazione,  come  da
dispositivo e motivi qui contenuti, riservandosi  all'udienza  dell'8
aprile 2016, svoltasi con le formalita' di cui all'art.  34,  decreto
legislativo n. 546/1992 nella ricorrenza di ogni  requisito  previsto
dalla detta norma. 
Motivi della decisione 
    La materia del contendere e' limitata alla  mera  delibazione  di
questa  C.T.R.  in  ordine  alla   questione   di   costituzionalita'
prospettata dall'Orabona nei sensi di  cui  in  narrativa,  questione
strettamente funzionale alla decisione della causa, in cui appunto si
controverte della legittimita' della pretesa  tributaria,  per  cosi'
dire, atomistica  e  non  cumulativa  del  contributo  unificato  per
ciascun atto impugnato, a quanto espressamente previsto dall'art. 14,
comma 3-bis, del decreto del Presidente della Repubblica n.  115/2002
che rimanda all'art. 12, comma 5, decreto  legislativo  n.  546/2002,
cosi'  come  modificato  dall'art.  1,  comma  558,  della  legge  n.
147/2013. 
    Orbene va anzitutto premesso che la Corte  costituzionale  si  e'
recentissimamente occupata della questione, per come sollevata  dalla
C.T.P. di Campobasso con ordinanza del 7 maggio 2015 con  riferimento
agli artt. 3, 24, 53, 113 e 117, comma 1 Cost.,  quest'ultimo  quanto
agli artt. 6 e 13 CEDU, ed ha reso con sentenza n. 78 depositata il 7
aprile 2016, appena un giorno prima  dell'udienza  tenuta  da  questa
C.T.R., pronuncia d'inammissibilita' di essa questione  in  ordine  a
ciascuna delle dette norme con argomenti di cui si dara' partitamente
conto nel prosieguo del presente testo. 
    Cio' detto, va ricordato che la Corte  medesima,  gia'  investita
del problema della definizione della natura giuridica del  contributo
unificato, lo ha inquadrato come entrata tributaria erariale ex  art.
2, decreto del Presidente della Repubblica n. 1074/1965,  si  che  e'
consentito far riferimento alle numerose pronunce della Corte  stessa
in ordine alle caratteristiche proprie dei tributi (cfr., ex  multis,
sentt. n. 26/1982; n. 63/1990; n. 2/1995; n. 11/1995; n. 37/1997). 
    Da cio' il Ministero appellato fa discendere la  conseguenza  che
al legislatore ordinario resterebbe riservata la piu' ampia autonomia
in ordine all'esigibilita' del contributo unificato, cosi' come nella
determinazione ed individuazione d'ogni altro tributo in quanto tale. 
    Tale  argomento  tuttavia  non  puo'  essere  condiviso,  dacche'
diversamente la discrezionalita' legislativa  in  materia  tributaria
trasmoderebbe  in  arbitrio,  non  restando   asservita,   per   come
dev'essere, ai precipui di razionalita', eguaglianza e giustizia  che
sono, a tacer d'altro, sottesi agli artt. 3 e 24 Cost., si'  che  non
si possa in alcun  modo  legittimare  la  prospettata  equazione  fra
natura tributaria del contributo unificato e possibilita' di  fissare
ad libitum ogni  aspetto  della  sua  esazione  (an,  quid,  quomodo,
quando). 
    A  ben  guardare  invero  la  radicalizzazione  di  un   siffatto
approccio interpretativo  renderebbe  vano  lo  stesso  controllo  di
legittimita'  della  Corte  costituzionale  perche'  consentirebbe  a
priori la possibilita'  di  esigere  il  contributo  unificato  ed  i
tributi  in  genere  nel  piu'  dispotico  dei  modi,  senza   alcuna
possibilita'  di  vagliare  a  riguardo  la  complessiva  scelta  del
legislatore ordinario - in particolare nei cennati an, quid, quomodo,
quando -  in  termini  di  conformita'  al  sovraordinato  schema  di
principi e norme che vi conferiscono istituzionale giustifica. 
    Nondimeno va subito precisato che la critica  appena  mossa  alla
posizione difensiva del Ministero non implica nel  contempo  adesione
totale agli argomenti addotti dall'appellante. 
    Si ravvisa invero manifesta infondatezza in ordine al prospettato
contrasto della disposizione normativa in esame rispetto all'art.  53
Cost., e cio' perche', come correttamente dedotto da esso  Ministero,
gli importi del contributo unificato sono calcolati in base al valore
della lite, mentre la capacita' contributiva non attiene  alle  spese
per i servizi di  giustizia,  rappresentando  piuttosto  l'attitudine
soggettiva ad  eseguire  la  prestazione  imposta,  con  riguardo  al
presupposto economico cui e' correlata  l'obbligazione  tributaria  e
quindi rispetto all'esistenza di causa  giustificativa  del  prelievo
sulla base di indici rivelatori (v. Corte costituzionale n.  155/2001
e n. 3737/2015). 
    A  riguardo  ovviamente  soccorrono  anche   e   soprattutto   le
specifiche  motivazioni  leggibili   nella   sentenza   n.   78/2016,
motivazioni riferite al  prospettato  contrasto  della  normativa  in
oggetto rispetto agli artt. 3 e 53 Cost., quasi a livello di disposto
congiunto, sotto il  profilo  del  diverso  trattamento  riservato  a
tributi e sanzioni, cosi'  come  da  ordinanza  di  rimessione  della
C.T.P. di Campobasso. 
    Non si ravvisa invece manifesta infondatezza con riferimento alla
dedotta contrarieta' della normativa di che  trattasi  rispetto  agli
artt. 3 e 24 Cost., essendo innegabile, il dato della  costrizione  e
del condizionamento del  diritto  di  accesso  alla  giustizia,  reso
indubbiamente piu' disagevole e, per cosi'  dire,  appesantito  dalla
necessita' di corrispondere tanti  contributi  unificati  per  quanti
atti impositivi siano da contestarsi in giudizio e non gia'  un  solo
contributo  sulla  somma  dei  corrispettivi   valori   (ipotesi   di
violazione dell'art. 24 Cost.), secondo la logica del cumulo regolata
dall'art. 10 del codice di procedura civile che,  come  meglio  sara'
detto  poi,  dovrebbe  essere  applicabile   ad   ogni   altro   rito
dell'ordinamento, ivi incluso quello della  giustizia  amministrativa
(ipotesi di violazione dell'art. 3 Cost.). 
    Ed  invero  in  dettaglio,  per  quanto  riguarda  lo   specifico
contrasto  con  l'art.  24  Cost.,  va  ricordato  che  la  pregnante
formulazione  garantistica  della  detta  norma  e  l'ampio   respiro
enunciativo che la rende, nella sua  indiscussa  solennita',  fra  le
piu' caratterizzanti dell'ordinamento offrono gia'  di  per  se'  una
sicura direttiva  ermeneutica  nel  senso  di  annettervi  il  minimo
possibile di lacci e lacciuoli  donde  il  diritto  di  difesa  possa
subire limitazioni o compressioni a qualsiasi livello, se non  quelle
strettamente necessarie. 
    In tale ottica un'esazione di contributo unificato  atomistica  e
parcellizzata, in deroga al generale criterio del cumulo (ma su  cio'
si  dira'  meglio  poi),  principio  certamente  piu'  favorevole  al
titolare del diritto di azione, non puo' non apparire come  un  onere
eccessivo, irrazionale e punitivo per chi intenda adire la  giustizia
tributaria. 
    E cio' massimamente nel caso oggetto del  presente  giudizio,  in
cui e' stato impugnato un estratto di ruolo. 
    Infatti   si   ricordera'   in   proposito   che   la   questione
dell'impugnabilita' dell'estratto  di  ruolo,  molto  controversa  in
giurisprudenza,  e'  stata  da  ultimo  positivamente  risolta  dalla
sentenza delle S.U. della Cassazione n. 19704 del 2 ottobre 2015. 
    Tale    pronuncia,     con     un'interpretazione     sistematica
dichiaratamente definita come costituzionalmente orientata,  precisa,
fra l'altro, che e' ammissibile il ricorso del  contribuente  avverso
la cartella e/o il ruolo, pur se quegli, in  difetto  di  notifica  a
riguardo, ne sia venuto a conoscenza attraverso un estratto di  ruolo
rilasciato su sua richiesta, e cio' senza che vi  sia  d'ostacolo  il
disposto dell'ultima parte del terzo  comma,  dell'art.  19,  decreto
legislativo n. 546/1992 per il quale  «la  mancata  notificazione  di
atti autonomamente  inpugnabili,  adottati  pretedentemente  all'atto
notificato, ne consente l'impugnazione unitamente a quest'ultimo». 
    Se ne inferisce che l'estratto di ruolo, alla stregua della  piu'
recente giurisprudenza teste' menzionata, e' passibile di impugnativa
giudiziale unitaria in quanto tale, non essendovi  la  necessita'  di
dettagliare  tante   autonome   opposizioni   per   quante   cartelle
esattoriali vi siano contemplate. 
    Cio' dunque integra una ragione ulteriore  per  ritenere  che  la
commisurazione del  contributo  unificato  al  valore  delle  singole
cartelle e non alla somma complessiva di  quelle  stesse  rappresenti
non solo una penalizzazione  eccessiva  del  diritto  di  difesa  del
contribuente, vieppiu' nella qualificante valorizzazione  conferitavi
dal complesso normativo di cui alla legge n. 212/2000,  ma  contrasti
con la stessa  logica  della  possibilita'  di  impugnativa  unitaria
dell'estratto di ruolo nei sensi detti. 
    Ne' sembra aver pregio l'obiezione del  Ministero  appellato  per
cui il pagamento del contributo unificato non costituisce  condizione
di ammissibilita' o procedibilita' della  domanda  (v.  Corte  cost.,
ordinanza n. 343/2011 e n. 284/2011  ),  e  cio'  perche'  sul  piano
logico l'inesistenza di un vincolo restrittivo di  una  facolta'  non
attrae di per se' la pedissequa inesistenza di altri vincoli che  ben
possono coesistervi in positivo e sul piano giuridico condizionamenti
del diritto di accesso alla giustizia possono  essere  costituiti  da
oneri, economici o non, che  lo  rendano,  come  gia'  cennato,  meno
agevole, pur senza creare  implicazioni  in  termini  di  sbarramenti
processuali radicali di tipo  impeditivo  per  com'e'  proprio  delle
categorie dell'ammissibilita' o della procedibilita' dell'azione. 
    Vi e poi da considerare che non sussiste alcun valido e razionale
motivo  per  riservare  solo  alla  giustizia  tributaria  tale   jus
singolare  nel  panorama  complessivo  dell'ordinamento   processuale
italiano, ove impera la regola del cumulo di cui all'art. 10  c.p.c.,
regola quindi contenuta nello schema piu' contiguo a quello del  rito
tributario,  come  indica  il  disposto  dell'art.  1   del   decreto
legislativo n. 546/1992, norma di apertura e di  chiusura,  al  tempo
stesso, della disciplina del medesimo. 
    Ebbene a  tal  proposito  la  sentenza  n.  78/2016  della  Corte
costituzionale esplicitamente osserva che non vi  e'  ragione  alcuna
per considerare la regola del cumulo di cui  all'art.  10  codice  di
procedura  civile  come  tertium  comparationis  cui  annettere,  per
effetto  di  ravvisate   omogeneita'   che   in   realta'   sarebbero
insussistenti, un possibile ricorso all'analogia. 
    Tale affermazione trae le sue premesse  dalla  constatazione  che
l'art. 113 del decreto del Presidente della  Repubblica  n.  115/2002
stabilirebbe criteri diversi  per  il  processo  civile,  per  quello
amministrativo e per quello tributario, per  cui,  come  testualmente
leggesi nella sentenza n. 78/2016, «nel primo per la  quantificazione
del contributo ... vengono in rilievo sia la materia  che  il  valore
della controversia; nel secondo ... e'  stato  adottato  il  criterio
della differenziazione per materia; nel processo  tributario  ...  il
successivo comma 6-quater stabilisce importi crescenti per  scaglioni
di valori delle liti». 
    Ebbene le differenze divisate  dalla  Corte  non  convincono  del
tutto questa C.T.R., essenzialmente perche' non si riscontra veridica
la proposizione distintiva fra rito civile e rito amministrativo  nel
senso che nel primo vengano in rilievo sia la materia che  il  valore
della controversia, mentre nel secondo risulti adottato  il  criterio
della differenziazione per materia. 
    Pare invece che tanto  il  processo  civile  quanto  il  processo
amministrativo restino regolati dall'art. 113 in discorso sia ratione
materiae che ratione valoris, alla  stregua  peraltro  di  un'esegesi
addirittura letterale ed inequivoca di tale norma. 
    Infatti il comma 6-bis dell'art. 113  cit.,  che  si  occupa  del
contributo unificato nel rito amministrativo, fa riferimento anche al
valore delle controversie, per come leggesi al punto b), laddove  vie
operato testuale rinvio, per le cause relative a rapporti di pubblico
impiego, al comma 3 e, per esso, ai criteri di valore quivi indicati,
e  per  come  leggesi  ancora  al  punto  d),  che  anzi   e'   cosi'
articolatamente  riferito  a  criteri  di   valore   da   legittimare
l'interprete a concludere che esso art. 113 contempla  il  contributo
unificato nel rito civile e  nel  rito  amministrativo  in  modo  non
dissimile l'uno dall'altro, dacche' in entrambi i casi lo riferisce a
criteri sia di materia che di valore. 
    Se cio' e' vero, e' vero allo stesso tempo che il rito  civile  e
quello amministrativo  non  trovano  disciplina  diversa  nell'ambito
dell'art.  113  del  decreto  del  Presidente  della  Repubblica   n.
115/2002, ma anzi disciplina essenzialmente conforme, per cui ai  due
tipi  di  processo  viene  riservata  sostanziale  omogeneita'  nella
determinazione del contributo stesso. 
    Ed anzi, siccome, a quanto correttamente affermato dalla sentenza
n. 78/2016 nei sensi sopra riportati,  «nel  processo  tributario  il
successivo comma 6-quater stabilisce importi crescenti per  scaglioni
di valori delle liti», e' lecito affermare che tutti  e  tre  i  tipi
processuali rimandano, per quanto di ragione, a  criteri  del  valore
per la determinazione del contributo unificato, ma che solo nel  rito
tributario non vige la  regola  del  cumulo  ex  art.  10  codice  di
procedura  civile  che  pacificamente  si  applica  anche  nel   rito
amministrativo nei casi in cui si debba far  riferimento  appunto  ad
essi criteri del valore. 
    E'  dunque  lecito  considerare  che  il  detto  art.  10   debba
opportunamente interpretarsi come precetto di amplissima  e  generale
portata, pur al di  fuori  dell'ordinamento  processuale  civile  ove
resta allocato, e cio' per effetto della dimensione espansiva che  vi
si deve  annettere  in  relazione  alla  razionalita'  che  l'ispira,
permeandone  la  mens  legis  assieme  alla  palese  conformita'   ad
elementari criteri di giustizia distributiva. 
    Peraltro, se e' vero  che  il  contributo  unificato,  come  gia'
detto, rinviene la sua ragione  giustificativa  nella  partecipazione
economica alle  spese  del  servizio  di  giustizia,  e'  irrazionale
moltiplicare per un solo ricorso tale  onere  economico  del  privato
come se avesse fruito di un servizio plurimo commisurato  ai  singoli
atti impositivi opposti e cioe' come se avesse adito separatamente il
giudice tributario con piu' ricorsi. 
    In altri termini fra il  contribuire  monistico  per  un  ricorso
semplice ed il contribuire plurimo per un ricorso complesso la  barra
della razionalita' non puo' che stare  nel  mezzo,  esattamente  come
quella che informa di se' il cit. art. 10  e  cioe'  quella  riferita
alla logica del cumulo del valore, per cui  una  giustizia  scomodata
una sola volta con valore intrinsecamente plurimo non puo' equivalere
esattamente ad una giustizia scomodata piu' volte con singoli  valori
di corrispondente importo totale. 
    Tanto  altresi'  massimamente  rileva  nell'ambito  di  un   piu'
generale discorso imperniato sui principi dell'art. 3  Cost.,  per  i
quali, com'e' noto, non possono tollerarsi disparita' di  trattamento
a parita' di  condizioni,  si'  che  colui  che  ricorre  al  giudice
tributario non puo' vedersi penalizzato rispetto  a  chi  ricorre  al
giudice civile o amministrativo. 
    Ed  invero  a  tal  proposito  le  determinazioni   della   Corte
costituzionale  per  come  adottate   nella   sentenza   n.   78/2016
andrebbero, a parere di questa C.T.R., riconsiderate. 
    E cio' quantomeno perche'  testualmente  fondate  sulla  premessa
della  disomogeneita'  dei  tre  riti,   civile,   amministrativo   e
tributario, disomogeneita' che non convince  quantomeno  nei  termini
leggibili nella detta sentenza n. 78/2016, laddove si sostiene che il
contributo unificato nel processo civile si determinerebbe in base ai
criteri della materia e del valore  della  controversia,  mentre  nel
processo amministrativo solo in base al criterio della materia. 
    Non sfuggira' dunque ad alcuno che,  espunta  la  premessa  della
disomogeneita' nei sensi detti,  verra'  meno  anche  la  conclusione
sillogistica su cui la sentenza n. 78/2016  testualmente  fonda:  «In
definitiva - si legge in tale pronuncia - dalla esposta  premessa  si
ricava implicitamente la difficolta' di individuare  un  principio  o
una fattispecie suscettibile di analogia, utilizzabile  nel  presente
giudizio quale tertium comparationis». 
    Potra' quindi essere vero proprio il contrario, e  cioe'  che  da
una corretta premessa di omogeneita' dei tre schemi  processuali  nei
sensi  sopra  evidenziati   possa   e   debba   ricavarsi   l'agevole
individuazione di un criterio analogico ovviamente funzionale ad  una
ben diversa soluzione della tematica di che trattasi. 
    Cio' detto, non meno debole appare a  questa  C.T.R.  il  dedotto
profilo di illegittimita' per asserito contrasto con l'art. 113 Cost.
che stabilisce che la tutela giurisdizionale contro  gli  atti  della
pubblica amministrazione e' sempre ammessa, dacche'  l'appesantimento
in discorso, per com'e' intuitivo, si traduce immediatamente  in  una
diminuita   possibilita'   reattiva   avverso   atti    d'imposizione
tributaria, promananti in quanto tali sempre da soggetti pubblici. 
    Ed invero, se ben si riflette la non manifesta  infondatezza  del
profilo di costituzionalita' riferito agli artt. 3  e  24  Cost.  nei
termini considerati finisce col radicare,  per  diretta  implicazione
logica a mo' di corollario, la postulabilita' dello  stesso  discorso
con riferimento al cit.  art.  113,  ne'  piu'  ne'  meno  che  nella
dimensione di un rapporto fra genere e specie. 
    Ne' sarebbe d'ostacolo quanto esposto  dalla  Corte  cost.  nella
sentenza n. 78/2016, ove e' detto  che  «il  remittente  non  avrebbe
chiarito per qual motivo il diritto di difesa sarebbe conculcato  dal
meccanismo di determinazione del  contributo  unificato»  cosi'  come
fissato per i ricorsi  cumulativi,  «quasi  che  la  possibilita'  di
difendersi fosse legato alla prerogativa di  scegliere  le  modalita'
cumulative anziche' individuali». 
    Infatti - non mettendo  conto,  ovviamente,  qui  considerare  le
motivazioni addotte dalla C.T.P.  di  Campobasso  circa  il  divisato
contrasto con l'art. 24 Cost. -  non  dovrebbe  poter  intendersi  il
diritto di difesa, al di  la'  dell'iperbole  adoperata  dalla  Corte
costituzionale  nella  proposizione  appena  trascritta,  come   mera
possibilita' di difendersi. 
    In particolare - non senza ribadire la  precedente  notazione  di
questa C.T.R. per cui dovrebbe bastare il rilievo dell'appesantimento
del diritto di difesa per configurare  un  contrasto  con  l'art.  24
Cost., non certo ipotizzabile solo in casi di  abrasione  totale  del
medesimo, vero essendo, sia sul piano logico che su quello giuridico,
che condizionamenti del diritto di  accesso  alla  giustizia  possono
essere costituiti da oneri, economici o  non,  che  lo  rendano  meno
agevole, pur senza addurvi  radicali  sbarramenti  impeditivi  -  non
dovrebbe apparire in ipotesi  del  tutto  congruo,  in  tale  ottica,
asserire che un dubbio di legittimita'  costituzionale  correlato  al
detto appesantimento possa risolversi banalmente  nella  postulazione
di un diritto di difesa  legato  alla  prerogativa  di  scegliere  le
modalita' cumulative anziche' individuali. 
    E non lo dovrebbe invero, a condizione di  serbare  dell'art.  24
Cost. una specifica visione qualitativa e quantitativa all'un  tempo,
banale essendo - si', stavolta - osservare che il diritto  di  difesa
non rileva solo in termini di astratta  possibilita'  di  difendersi,
bensi' anche e soprattutto in  termini  di  sua  concreta  estensione
quantitativa. 
    Anzi il diritto di difesa come possibilita'  di  difendersi  puo'
dirsi sempre esistito, persino negli Stati assoluti e finanche  nelle
tribu' primitive, divenendo poi coessenziale allo  Stato  di  diritto
proprio nella  sintetica  accezione  di  acquisito  arricchimento  di
contenuti e spazi maggiori in un processo storico che ovviamente  non
puo' dirsi esaurito. 
    Non esiste in altri termini un principio  ex  art.  24  Cost.  da
intendersi burocraticamente come diritto di difesa si'  anziche'  no,
ma piuttosto da intendersi  evolutivamente  come  diritto  di  difesa
quanto piu'  concreto,  piu'  completo,  piu'  esteso  possibile  nel
diritto vivente. 
    Del pari non dovrebbe apparire del tutto infondato il prospettato
contrasto della normativa in questione con l'art. 117, comma 1, Cost.
e, per esso, con i vincoli derivanti dagli artt. 6, 13 e 18  CEDU,  i
quali sanciscono rispettivamente il diritto ad un processo  equo,  ad
un ricorso effettivo e al divieto di restrizione dei diritti  non  si
rettamente connessa allo scopo previsto. 
    Anche  rispetto  a  tali  principi  tuttavia  la  sentenza  della
Consulta n. 78/2016 non ravvisa  contrasti,  riproducendo  la  stessa
argomentazione addotta con riferimento all'art.  24  Cost.,  peraltro
esaminato  in  unico  contesto  con  l'art.  113  Cost.,  pur  se  la
remittente C.T.P. di Campobasso aveva prospettato a riguardo separati
discorsi. 
    Anche qui dunque questa C.T.R. auspica  che  venga  adeguatamente
valorizzata  la  logica   della   concretezza   e   dell'effettivita'
contenutistiche del diritto di difesa nella ratio  legis  sottesa  ai
detti artt. 6, 13 e 18 CEDU, che non sono  altro  che  la  proiezione
ultranazionale dell'art. 24 Cost. negli stessi termini di cui  si  e'
detto. 
    Per  tutto  quanto  precede,  la  tematica   della   legittimita'
costituzionale del complessivo disposto di cui,  all'art.  14,  comma
3-bis del decreto del Presidente della Repubblica n. 115/2002  e  12,
comma 5, decreto  legislativo  n.  546/2002,  cosi'  come  modificato
dall'art. 1, comma 558, della legge n. 147/2013, ad avviso di  questa
C.T.R., merita di essere riconsiderata, alla stregua degli  argomenti
addotti dall'appellante e di altri complementari ex  officio  judicis
dei quali si e' fatto cenno, nella parte in cui  si  prevede  che  il
valore della lite per  il  calcolo  del  contributo  unificato  venga
determinato  in  via  autonoma  per  ciascun  atto  impugnato  e  non
piuttosto complessivamente  secondo  la  regola  del  cumulo  fissata
dall'art. 10 codice di procedura civile - da  considerarsi  norma  di
carattere generale non ristretta all'ambito processuale civile per il
quale e' dettata, attesa la sua specifica aderenza ad indubbi criteri
di logicita' e giustizia -, con conseguente disparita' di trattamento
per l'ipotesi di  ricorsi  tributari  cumulativi  come  nella  specie
rispetto al  pedissequo  diritto  d'azione  esercitato  nel  processo
civile ed in quello amministrativo. 
    Ai sensi dell'art. 23, comma 2 della legge 11 marzo 1953, n.  87,
il presente giudizio e' sospeso fino alla definizione  dell'incidente
di costituzionalita', mentre ai sensi dell'art. 23,  comma  4,  della
legge 11 marzo 1953, n. 87, la presente  ordinanza  sara'  notificata
alle parti costituite ed al Presidente dei  Consiglio  dei  ministri,
nonche' comunicata ai Presidenti del Senato della Repubblica e  della
Camera dei deputati.